L’inverno è l’ultima stagione dell’anno, arriva il 21 dicembre.
Il nome deriva dal latino “hiběrnum”, “stagione del freddo” (in riferimento al tempo), e dall’aggettivo “hibernus”. Secondo il folklore il nome inverno deriverebbe da Averno (il regno dell’Ade), si tratterebbe di una variazione della parola Avernus che deriva dal greco άορνος (senza uccelli).
Infatti, si racconta che il freddo, faceva emigrare o morire gli uccelli.
Secondo alcune leggende, gli uccelli emigravano nel regno di Ade per poi fare ritorno a primavera.
In Italia, proprio per questo motivo è nata anche la nota “leggenda della merla”; la merla sarebbe stata mandata dalla dea Persefone per annunciare il suo ritorno alla madre Demetra) che faceva tornare la primavera in relazione alla visita della figlia. Inoltre, in inverno molte piante muoiono o non crescono.
Spesso nell’arte l’inverno, viene rappresentato proprio con il vecchio o la vecchiaia che precede la morte.
Gli alberi che in autunno erano coperti di lastre d’oro, in questa stagione sono tutti spogli, tendono le nude braccia al cielo, guardarli mi trasmette tanta tristezza.
Forse, avrei dovuto intitolare questo racconto “le stagioni dell’inverno”, perché il mio inverno ha tante stagioni. La prima, è quella che forse mi appartiene più delle altre, ed è rappresentata da un’arancia : bella, profumata, dolce, succosa; ma soprattutto dal retrogusto amaro, perché a me piacevano le arance amare. Era inverno io, mia nonna Grazia e comare Rosuzza, eravamo sedute attorno al braciere, ricordo che mangiavamo delle arance, lasciando cadere nel braciere le bucce, un magico odore danzava nell’aria regalando emozioni. Comare Rosuzza raccontava che sua nipote in Francia era la prima della classe, mia nonna parlava dei suoi nipoti di Reggio Calabria , bravissimi anche loro.
La Tv in bianco e nero trasmetteva un film, ricordo in particolare una scena : una bambina viaggiava in macchina assieme ai genitori. Ad un certo punto, la bambina chiedeva al padre di fermarsi, perché doveva andare in bagno. Comare Rosuzza guardava la tv e diceva : ”fermatevi per favore, perché se non va in bagno può morire”. Io ridevo, perché sapevo che le persone che “abitavano la scatola magica” non potevano sentirla. Era inverno, nella casa dove nacqui non sentivo freddo, non ho mai sentito freddo, circondata dall’amore di mia nonna Grazia e dal calore del camino che mi faceva compagnia.
C’era un grazioso giardino da dove si sentiva il vociare dei bambini della Scuola Elementare del borgo.
Mamma diceva che presto anch’io sarei andata a scuola.
L’inverno in quella casa era caratterizzato da inconfondibili profumi: i broccoletti “affucati” le frittelle di melanzane che nonna preparava durante l’estate nel recipiente di terracotta detto “u carneli”, il profumo delle zeppole ,della carne arrostita, della trippa con le patate e della torta margherita che mamma ci preparava. L’inverno era dolcezza e calore. All’alba mi svegliava il rumore della motoape di Peppe Pillari, che partiva per lavorare. Io stringevo la mano di mia nonna Grazia ed ero tanto felice.
A dicembre raccoglievo il muschio per il presepe. Il muschio profumava di terra, di ulivi, di pioggia di vento. Io adoravo i torroni semplici che trovavo nella bottega del paese e le pitte pie .
Profumavano di semplicità. Natale era la novena, gli zampognari, la messa, la famiglia, i regali.
E poi la notte di San Silvestro, dove dal mio lettino ascoltavo i botti della mezzanotte.
Il primo gennaio, foriero di nuove speranze e nuove aspettative, anche se allora come adesso e come sempre, la vita segue un percorso già stabilito, nessun botto ci può evitare amare sorprese.
Mia nonna diceva che un’azione che viene eseguita a Capodanno si sarebbe ripetuta per tutto l’anno.
Allora io leggevo, così mi accaparravo la fortuna di leggere tutto l’anno.
Ancora oggi il primo gennaio lo trascorro a leggere, non si sa mai.
In fondo il grande Totò diceva “Non è vero ma ci credo”.
Così per non sbagliare , io continuo a leggere anche il primo gennaio
L’inverno mi fa pensare alla Befana, la magica vecchietta che arrivava senza farsi vedere, portando adorabili regali. Uno in particolare, ho amato moltissimo : Ciccio Bello. Quanto mi aveva reso felice l’arrivo di quel bambolotto!
E poi ricordo l’ultima Befana trascorsa nella casa dove sono nata, con l’arrivo di una bambola simile alla Barbie con tanti vestiti e scarpe. Dopo la Befana, nel mese di Febbraio, ricordo la Festa della Candelora.
ll nome Candelora deriva dalla tradizione cristiana di benedire le candele che simboleggiano la luce e l’uscita dalle tenebre (l’inverno). La festa cade esattamente 40 giorni dopo Natale ed è nota anche come “Purificazione di Maria”, era celebrata già dall’imperatore Giustiniano.
Comare Maria Pillari diceva: “Pa’ Candilòra, cu non avi carni s’impigna ‘a figghjiòla”. Mia nonna, invece, diceva: “ Da Candilora u mbernu è fora. Fora o non fora quaranta jorna i mbernu ndavi ancora! (alla Candelora l’inverno è finito. Finito o no ci sono ancora 40 giorni di inverno!)”.
Febbraio regalava anche le meravigliose violette, che io amavo raccogliere nei prati, per il loro dolcissimo profumo. Il 19 marzo festa di San Giuseppe, tutte le comari del paese preparavano la pasta con i ceci e la regalavano a tutto il vicinato. La seconda stagione del mio inverno è nell’altra casa, quella dove ci siamo traferiti quando io avevo 10 anni. In questa casa, ogni mattina mi svegliava il canto del gallo di un pollaio vicino.
Il canto del gallo, annunciava il nuovo giorno, la vita, la gioia, era foriero di speranza, ed io lo amavo tantissimo , il suo chicchirichì ritornava anche nel pomeriggio donandomi gioia .
Anche in questo inverno, c’era il camino che mi consolava, che mi coccolava , che mi parlava e mi faceva compagnia. Nella mia cameretta, dove mai ho sentito freddo, guardavo l’inverno dalla finestra: gli ulivi coperti di brina, l’erba al mattino coperta da un mantello bianco, i passerottini e la cinciallegra che cantavano tra i rami degli alberi. Nel podere del nonno, seguivo il volo solitario della poiana, nemmeno lei aveva freddo. Ricordo il profumo della pizza e dei calzoni che mamma ci preparava.
Io studiavo e leggevo . Non ho mai festeggiato Carnevale, però ammetto che mi sarebbe piaciuto indossare un vestito per l’occasione, magari di Cleopatra o da nobildonna romana.
Il mio Carnevale era rappresentato dalle “nacotole” e dalle castagnole che mamma preparava con amore.
Al borgo natio il Carnevale era semplice, ma nonostante tutto si respirava nell’aria un’atmosfera di festa che, oggi purtroppo manca. Ricordo che ai tempi della scuola segnavo sul calendario, con un evidenziatore giallo, i giorni: della Candelora, di Carnevale, delle Sacre Ceneri, di San Valentino e di San Giuseppe; mi sembrava di sentire una dolce magia nell’aria, benchè non avessi un ragazzo come le mie compagne di scuola, né partecipassi alle feste di Carnevale.
L’inverno era un mago, perché nonostante il freddo, regalava atmosfere particolari.
John Burroughs ha scritto : “In inverno le stelle sembrano aver riacceso i loro fuochi, la luna ha una figura più trionfale ed il cielo indossa uno sguardo di una semplicità più elevata.”
Legato ai ricordi del mio inverno è il Festival di Sanremo, che allora aspettavo con ansia e non perdevo nemmeno una puntata. La finale era una gioia perché scoprivo il vincitore, in un’attesa carica di emozione.
Con le mie compagne di scuola, amavamo fare i commenti sulle canzoni, sui cantanti e sui loro look.
Legato al Festival di Sanremo sono i limoni che io, Tina e Silvana mangiavamo, mentre commentavamo le canzoni. Tagliavamo i limoni a fette e li mangiavamo con sopra un po’ di sale.
Ricordo le smorfie che faceva la mamma di Silvana, mentre noi mangiavamo.
Un Festival che mi è rimasto del cuore è quello del 1983.
Era condotto da Andrea Giordana affiancato da Isabel Russinova, Emanuela Falcetti e Anna Pettinelli all’epoca conduttrici del programma musicale Discoring.
A proposito d’inverno, con Tina non perdevamo una puntata di Discoring.
A volte mentre guardavamo Discoring facevamo delle frittelle dolci buonissime, conservo ancora la ricetta, ma non le ho più fatte. Quell’anno a destare scalpore fu Vasco Rossi, alla sua seconda e ultima partecipazione al Festival come cantante in gara, con “Vita spericolata”, divenuta in seguito una delle sue canzoni più famose nonostante il pessimo piazzamento nella gara (si classificò, infatti, al penultimo posto). L’edizione fu vinta, con grande sorpresa, da Tiziana Rivale con il brano “Sarà quel che sarà”.
Di questa edizione, avevo amato fortemente “Vacanze Romane” dei Matia Bazar e “Volevo dirti” di Donatella Milani Ricordo che avevo persino tagliato i capelli come Donatella Milani, per assomigliargli.
Fino a 18 anni era una festa per me, guardare il Festival di Sanremo, dopo con il passare del tempo non l’ho più guardato. L’altro giorno ho letto su un giornale che, mentre nel mondo ci sono guerre, in Italia si pensa al Festival di Sanremo.
Nonostante davvero questo per il mondo è un brutto periodo, non possiamo negare che il Festival fa parte dell’Italia ,che intorno a lui c’è un notevole indotto e che gli italiani ancora lo aspettano e lo guardano. Sanremo è aspettato e seguito anche dagli italiani che abitano all’estero.
Mentre scrivo, ritorna alla mia mente una finale del Festival, io registravo le canzoni, mente mamma preparava la sfoglia per le lasagne della domenica.
Quando il giorno dopo abbiamo ascoltato la registrazione con le mie compagne di sempre; Silvana mi aveva chiesto perché di sottofondo c’era uno strano rumore, ho raccontato così della sfoglia, facendo ridere tutte. Ricordo la neve a Gambarie d’Aspromonte, guardarla mi emozionava, mi faceva sognare.
La neve ha un suo fascino particolare. Due ricordi ,in particolare sono legati alle neve: uno risale al 1981, quando la neve con la sua magia era arrivata nella Piana del Tauro e al borgo natio.
Conservo ancora una foto . L’altro risale al 1985, andavo a scuola a Reggio Calabria e l’autostrada era coperta di neve. Continuavo a leggere , era la mia vita. Il mio inverno era contrassegnato dalla lettura.
Compravo i libri alla libreria Ave a Reggio Calabria, ogni libro era una gioia e lo è ancora.
Il mio inverno era anche attesa. Attesa della primavera, la primavera dell’anima.
Il mio terzo inverno è caratterizzato da freddo e dalla solitudine , dalla nostalgia infinita del mio camino, non odo più il chicchirichì del gallo e mi manca da impazzire.
Il mio terzo inverno è orfano di odori, di canti, di sapori. Un inverno che non avevo mai sognato così, perché l’avevo sognato sicuramente diverso. Oggi l’inverno è un’ape che pungola il mio cuore, è un freddo oceano di solitudine. Dal balcone del mio appartamento , guardo gli ulivi in lontananza e ancora più giù il mare. E’ strano, ma riesco a percepire ancora la magia dell’inverno e sento la stessa atmosfera.
L’inverno è un mago, non si può negare questa certezza.
Per fortuna i merli, i corvi, i passerottini e la cinciallegra volano in un gioioso girotondo sugli alberi nudi nella mia graziosa Amato, dove ritrovo ancora il mio antico inverno.
Ogni martedì a mezzogiorno, mi aspettano dietro la chiesa per raccontarmi del tempo che fu.
Il prato come ogni gennaio si riempie di fiorellini gialli, un lago giallo che accarezza l’anima e che scioglie il freddo della solitudine. L’inverno adesso è inseguire il volo dei gabbiani, a volte scendo sulla spiaggia e adoro guardarli, chissà se tra i miei gabbiani c’è mio cugino Luigi… I miei inverni, hanno in comune la bellezza del mare in questa fredda stagione: il mare in inverno mi ha sempre affascinato. La Bertè cantava “Il Mare d’Inverno” , canzone che ha accompagnato e accompagna ancora il mio personale “mare d’inverno” che altri non è che il mare della Tonnara di Palmi con la magia dell’Ulivarella e il mare della mia Geolia. Come ho già detto, non guardo più il Festival di Sanremo e non ho un camino che mi fa compagnia, ma c’è una fatina che abita tra gli ulivi e danza dolcemente tra le pratoline, si chiama speranza , mi conforta , mi consola, mi dice che un giorno arriverà la quarta stagione del mio inverno, in un borgo lontano, in una piccola casa con un camino sempre acceso e un gallo che torni a svegliarmi con il suo chicchirichì intessuto di gioia, amore e rinnovata felicità.
Caterina Sorbara